Il Rossese di Dolceacqua in quattro declinazioni! Decomposti e decomposte ben tornati su Zombiwine, l’unico blog che se non lo segui… Morde! ieri sera sono stato ad una bella degustazione di un vino del quale sapevo pochissimo: il Rossese di Dolceacqua. Non che dopo una sola serata in sua compagnia io sia divenuto l’armando Castagno del Rossese, anzi, so solo di voler approfondire l’argomento e, tuttavia, l’occasione è stata ghiotta e quindi ho deciso di parlarvene.
Cominciamo a darvi tutti i riferimenti: la serata è stata organizzata in collaborazione con Gianluca lo Sapio, ovvero la distribuzione The Great Gig in the Wine (Bellissimo catalogo improntato sulla eleganza e sull’artigianalità ) e il Wine bar di Pomigliano D’arco Tintorè. Quattro i vini in degustazione (più un barolo a sorpresa a fine serata) di due aziende di Dolceacqua .
- Maccario Dringenberg con i vini Namelos 2020 e Luvaira 2020
- Terre Bianche Terrabianca 2019 e Bricco Arcigna 2019
Il Rossese di Dolceacqua in quattro declinazioni!
Dolceacqua è un comune Ligure, in provincia di Imperia ad un tiro di schioppo dal confine francese; mentre invece Il Rossese di Dolceacqua,, è un vino prodotto in val Nervia, in val Verbone e in una porzione della Valle Roja. I principali comuni interessati nella produzione sono Camporosso, Dolceacqua, Perinaldo, San Biagio della Cima, Soldano, Vallecrosia, Ventimiglia.
L’uva italiana rossese è uno degli oltre duecento cinquanta vitigni autoctoni italiani; è sostanzialmente identica dal punto di vista genetico alla francese tibouren. Pare che, come molte varianti ora europee, l’uva rossese/tibouren sia arrivata tramite il porto di Messalia, l’attuale Marsiglia, grazie agli scambi commerciali dei Greci.
Diffusasi nell’attuale Provenza e nella zona di Dolceacqua, grazie all’operato dei monaci benedettini, prendendo due nomi differenti. Attualmente il Tibouren viene utilizzato come uva per la produzione di rosati nella AOC Provenza, in Italia è usata da sempre in purezza per la produzione di vino rosso.
Non mi vergogno a dire che quanto segue l’ho preso da Wikipedia, l disciplinare Doc del Rossese di Dolceacqua prevede l’individuazione di zone produttive di particolare pregio, denominate ‘cru’ o ‘menzioni geografiche’, appunto. Queste zone storicamente note sono omogenee per caratteristiche di base quali altitudine, esposizione, tipologia del terreno.
Le menzioni, se opportunamente registrate, possono essere riportate in etichetta definendo quindi in maniera ancora più precisa la provenienza delle uve con cui è stato prodotto il vino.
Il cru Galeae
Queste le suddivisioni dei Cru per Comune di appartenenza:
- Camporosso: Luvaira, Migliarina, Pian del Vescovo, Trinceria, Monte Curto, Brunetti.
- Dolceacqua: Arcagna, Tramontina, Morghe, Rosa, Pozzuolo, Armetta, Ruchin, Cian da Marchesa, Peverelli, San Martino.
- Perinaldo: Curli, Savoia, Alpicella.
- San Biagio della Cima: Posaù, Luvaira, Nouvilla, Berna, Buscarra, Garibaudo, Crovairola.
- Soldano: Pini, Bramusa, Galeae, Beragna, Luvaira, Ferenghé, Foulavin, San Martino
- Vallecrosia: Santa Croce
- Ventimiglia: Piemattun, Roasso, Sette Camini
- Dolceacqua risulta essere il Comune più vitato con il 37% delle vigne, seguito da Soldano (21%), Camporosso (15%), San Biagio (13%) e i restanti Comuni insieme per la restante parte. (Fonte: Ispettorato Agrario Imperia, 2011)
Poichè stiamo parlando però di una doc la cui estensione è molto piccola (nel 2010 suoerava di poco gli 80 ettari) questa inteligente micro zonazione ci fa dire che non esiste un unico Rossese ma tanti Rossese diversi, uno per ogni vigna come se fosse una minuscola Borgogna.
Caratteristiche del vitigno sono
- la scarsità di antociani, che da un vino quindi luminoso e molto chiaro.
- La gamma olfattiva è vinosa, con bei profumi floreali di delicate rose e viole, con punte fruttate di fragola e ribes.
- Il palato resta delicato, morbido, ma con un bel corpo strutturato dai tannini che lo rendono leggermente amarognolo, equilibrato però da ottime vene vellutate.
Il Rossese di Dolceacqua in quattro declinazioni!
Andiamo ora a parlare dei singoli vini assaggiati.
Maccario Dringenberg con i vini Namelos 2020 e Luvaira 2020.
La cantina Maccario Dringenberg si trova a San Biagio della Cima, un piccolo borgo in provincia di Imperia, tutto scale, che rendono difficoltoso il transito di qualunque mezzo a motore e i glutei sodi dei suoi abitanti .
Proprietaria della cantina è Giovanna Maccario architetto, vignaiola e figlia d’arte (Mario Maccario fu uno dei vignerons storici della zona) assieme al marito Goetz Dringenberg.
La sua produzione si articola su quattro “cru” diversi Braë, Luvàira, Posaù e Curli. Il lavoro nella vigna si svolge manualmente, sia perché gli impianti, ad alberello provenzale, si trovano su terrazzamenti molto scoscesi, tanto che è praticamente impossibile lavorare con mezzi meccanici, sia perché i 2,5 ettari di vigne sono suddivisi in diversi piccoli appezzamenti.
i suoi vini sono prodotti senza passaggi in legno ma solo in acciaio per esaltare al massimo la tipicità di ognuno di essi. In vigna non si va oltre il Rame e lo zolfo e le fermentazioni sono rigorosamente spontanee, mentre i vigneti (come in quasi tutta la denominazione) sono molto vecchi; con un età media che va dai quarant’anni a oltre un secolo! veri monu enti che poggiano su suoli spesso composti da arenaria-calcarea oppure su argille solidificate, che a contatto con gli agenti atmosferici si frantumano in lamelle e pezzettini.
Maccario DringenbergNamelos 2020.
Namenlos significa senza nome e così Giovanna Maccario ha dovuto chiamare ( per problemi burocratici) il vino proveniente dalle uve del cru Brae, posta a 500 metri di altitudine su terreni di matrice calcarea dove i venti freddi influenzano categoricamente il clima e caratterizzano forti escursioni termiche.
Luce in vetro: come se la luce filtrasse attraverso una vetrata istoriata, fulgida e scintillante. Il naso complesso non vuole farsi comprendere o didascalizzare, note di fiori bianchi si mescolano a sentori di melagrana e fruttini acerbi di bosco. Il sorso è fresco e dissetante anche grazie ai tannini quasi assenti. L’acidità, la freschezza e la voglia che ci viene nel berlo lo fa essere un meraviglioso vino rosso estivo e uno di quei casi che possiamo tranquillamente abitarci un rosso a taluni pesci.
Vino facile? No assolutamente, ma la sua complessità non sta nella difficoltà di approccio, quanto piuttosto nel suo essere magro ed esile come talune modelle di intimo dalla folta chioma vermiglia: ti lasciano di sasso con il loro essere Driadi e allo stesso modo, questo è un vino che ti seduce con il suo non essere invasivo o opulento ma timido e riservato. Azzeccatissima l’idea di fare solo acciaio.
Il Rossese di Dolceacqua in quattro declinazioni!
Maccario Dringenberg Luvaira 2020.
Storico appezzamento di piante che per buona parte sono tra le più vecchie d’Italia composto in parte da viti ultra centenarie ripiantate appena dopo l’arrivo della filossera nel 1878. Piantato con esposizione ovest su roccia costituita da marne argillose blu.
Nel bicchiere, se possibile, ancora più tenue e luminoso del precedente, rientriamo qui in un esperienza lisergico cromatica di Greatefull Dead memoria. Il naso è più affuoco del precedente, regalandoci una tavolozza di spiccata personalità dove i frutti rossi si rincorrono con le spezie e il tabacco. potrebbe sembrare una descrizione semplicistica, ma per quanto mi riguarda invece è un vino con un naso così analitico da essere perfetto. Il sorso anche qui mostra agilità, magrezza, un nerbo da tendine di bue; ha un sorso freschissimo. ma altrettanto complesso: berlo mi ga fatto ricordare il Poulsard.
Un vino questo che fa della sua essenza la sua potenza, non costa molto, ci aggiriamo intorno ai venti euro la bottiglia e la cosa difficile più che l’acquisto è la reperibilità. Tuttavia se e sottolineo se deciderete di prenderla avrete un esperienza che vi dimostrerà l’immenso potenziale del vino italiano. Perché vi dico ciò? perché questo Rossese è in antitesi con l’idea che noi abbiamo dei rossi tannici e possenti.
Il Rossese di Dolceacqua in quattro declinazioni!
Terre Bianche Terrabianca 2019 e Terre Bianche Bricco Arcigna 2019
L’Azienda nacque nel 1870 quando Tommaso Rondelli decise di impiantare i primi vigneti di rossese di Dolceacqua,
I fratelli Claudio e Paolo Rondelli, e Franco Laconi sono protagonisti dell’ampliamento aziendale negli anni 1980 – 1998 che ha consentito non solo un ulteriore e consistente aumento di produzione, sia quantitativo che qualitativo, ma anche l’ideale completamento dell’attività agricola con l’agriturismo.
Dalla fine degli anni novanta Filippo ha sostituito il padre Claudio affiancandosi a Paolo e Franco nella conduzione dell’azienda. Da allora si è ulteriormente accresciuta la qualità dei vini, che sono arrivati ad ottenere i più importanti riconoscimenti.
Solo 2.500 bottiglie l’anno per il rossese del sito Terrabianca, che da il nome all’azienda. Uno dei Cru più famosi del Rossese di Dolceacqua, già note ai romani e coltivate dalla famiglia Rondelli nel 1870. Argilla bianca e Marne blu il terreno, con presenza di fossili marini. Le piante hanno un’età media di 50 anno e sono coltivate ad alberello e cordone speronato, a 350m slm.
Mentre Bricco Arcagna è un Rossese che prende il nome della vigna in cui nasce, la sommità della collina di Arcagna, cuore dell’azienda, la zona più rinomata per la produzione dei vini di Dolceacqua; prodotto in appena 3000 bottiglie provenienti da vigne anche centenarie, vinificato in acciaio e lasciato maturare per quasi un anno in barrique già precedentemente usate.
Se i vini della precedente coppia facevano dell’acciaio il loro modo di essere, qui invece, c’è la barrique a trideimensionalizzare con i suoi aromi un vitigno che fa della capacita di trasmigrazione delle note aromatiche la sua cifra stilistica. I due vini li metto vicini poiché seppur molto diversi ci trovo di comune accordo delle assonanze.
Il bicchiere è sempre luminoso e cristallino ma più cupo dei vini di Maccario. Strenuamente la stessa maggiore complessità aromatica c’è pure al naso e a l sorso. se Maccario è più timido o se preferite lirico, qui invece siamo dinanzi a una bella declinazione in fender Stratocaster .Questi sono vini che amo spesso mettere a confronto poiché sono creati da un idea umana che però non stravolge il territorio su cui vive ma anzi: la sua idea è proprio nella declinazione.
Naso complesso di fruttirossi e ciliegia , tabacco da pipa dolce e spezie aromatiche il primo vino, il secondo invece fa un pò i capricci: per i primi quindici minuti ha un che di smalto al naso; un effluvio ridotto ce però poi andrà via prestissimo portandoci a vedere un bicchiere fatto di arancia e agrumi, ciliegia e sopratutto una valanga di sentori officinali.
Il Rossese di Dolceacqua in quattro declinazioni!
Per completezza vi allego anche foto dei piatti in abbinamento e con questo….. passo e chiudo!
Bella serata che spero si possa replicare presto.
- vi lascio il link del canale YouTube; iscrivetevi e con un click mi farete felice !
- Ti lascio il link per acquistare, se ne hai voglia, il mio romanzo l’isola del viaggiatore.
- la tua opinione, e il tuo supporto per me è fondamentale: riempi di commenti questo contenitori! fossero pure di focose discussioni! e se credi che sia giusto! condividimi con i tuoi amici!