Non è colpa dei vini: è colpa mia! Ore 02:00, sono quattro ore che sono imbambolato dinanzi al Mac: non so come scrivere questo articolo. Per la prima volta non so dove e come andarci a parare e questo scrivere sembra più una seduta dallo psicanalista che un articolo sul mio blog. Motivo? Non so dire che un vino non mi è piaciuto, ho paura di offendere chi l’ha prodotto, chi lo ama chi lo beve! Allo stesso modo non riesco a scrivere che invece un altro mi ha lasciato fuori di testa e mi ha conquistato sorso dopo sorso: poiché messi uno dinanzi all’altro mi sembra uno scontro fra gladiatori .
A quanto pare però spogliatomi dalle parole, raschiando via le metafore, scrostando le sineddochi e derattizzando gli zeugmi posso provare a esprimere ciò che scava nel mio cervello come una talpa scava nella terra! Per farlo non posso far altro che raccontarvi questa storia in maniera quanto più distaccata possibile. Proviamo a cominciare dunque.
Qualche giorno fa sono stato in un enoteca, non importa troppo quale essa fosse: cercavo un vino naturale, non uno specifico: volevo vedere cosa potesse offrirmi quel punto vendita. L’enoteca avrebbe fatto svagare e sbavare non pochi appassionati: la selezione presente era a dir poco pantagruelica! Annate su annate di Masseto danzavano come ninfe attorno all’intera selezione di Romanè Contì; Petrus toccava il culo alla Grande Dame Clicquot mentre Don Perignon p3 faceva finta di non vedere.
Inutile dire: era davvero un bel vedere, tuttavia dei vini che piacevano a me non c’era praticamente nulla. Quest’enoteca, per scelta condivisibile o meno, non trattava vini Naturali. Ammetto: ci sono rimasto come un Babbasone. Avevo fatto 20 chilometri e non mi andava di andar via a mani vuote ne tantomeno di spendere un apocope per comprare il fior fiore dei vini: non volevo un capolavoro costoso ma una solida realtà per tutti i giorni. Poi vedo lei su uno scaffale: cantina biodinamica Toscana! Non ho mai bevuto quella bottiglia ma solo il suo vino “Litro” e così me ne vado via comunque contento e non a mani vuote.
Di ritorno a casa sono andato a sistemare la bottiglia in cantina assieme ad altre che erano in attesa della mia pigrizia; ora la mia cantina è un po come una casa studenti di Bologna: accanto ai miei scaffali dove ci sono le mie bottiglie fuoricorso che fanno casino e strillano porcate c’è uno scaffale con le bottiglie di mio papà: colte, vetuste, ben vestite; si guardano malissimo e spesso con sdegno. In realtà Loro sono contente finalmente di avere un pò di compagniasono state troppi anni da sole e sono diventate stronze e musone e io curo entrambi gli spazzi assicurando a tutte la giusta rotazione e probabilità di essere scelta. Proprio mentre stavo per andar via vedo lei, che avevo assolutamente rimosso dalla memoria; così preso dalla curiosità e dal pranzo della domenica decido di portarla su assieme alla mia.
Non è colpa dei vini: è colpa mia!
Ca del Bosco Maurizo Zanella rosso del sebino igt 2007.
Ecco ci siamo levati il dente dolente: ho tirato su dalla cantina con chirurgica precisione questa bottiglia, ho tirato su lo Zanella con Metronimica precisone, aperto, decantato e bevuto: e non m’è piaciuto.
Composto da: Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 25%, Cabernet Franc 25%. Due vigne di Cabernet Sauvignon, dall’età media di 25 anni, ubicate nel Comune di Erbusco. Unavigna di Merlot, dall’età media di 23 anni, ubicata nel Comune di Cazzago San Martino. Una vigna di Cabernet Franc, dall’età media di 22 anni, ubicata nel Comune di Passirano.
Epoca della vendemmia: 24 settembre 2007.
Uno dei vini simbolo di Ca del Bosco, che col suo taglio bordolese si propone come un vino dal lunghissimo invecchiamento possibile e che in questo caso ha comunque 15 anni sulle sue spalle.
Capiamoci: non ho la palla di vetro per sapere quanto ancora avrebbe potuto stare in cantina, tuttavia la bottiglia non mi sembrava particolarmente stanca, sicuramente non aveva ne difetti di conservazione ne difetti di invecchiamento; insomma la bottiglia nel bicchiere era come doveva essere. L’unica vera descrizione possibile è che io gli stessi sulle balle e non gli sono mai andato in simpatia, morale della storia ci siamo rimasti indifferenti tutto il pranzo.
Non è colpa dei vini: è colpa mia!
Ho da poco finito di ascoltare il podcast su Spotify : Vite nel Bosco il podcast sulla storia della Ca del Bosco. Bellissima storia che parla di grande imprenditoria, avventura, grandi vini, Italia, storia dell’arte e la visione di un uomo incredibile: Maurizio Zanella. Nonostante la stima che io posso avere della persona e della curve Annamaria Clementi (Forse il miglior Franciacorta ) questo vino rosso non è nelle mie corde.
Naso e sorso sono prorompenti, possenti e anche a modo loro seducenti se cerchi un vino con una grande stazza sartoriale: però questa grande eleganza e questo sorso così austero, a me non comunicano nessuna gioia ma come cantava Califano solamente noia.
Senza fare analisi sensoriali compresse e complesse, lo trovo semplicemente TROPPO: Un vino, questo, che racconta una storia enologica fondamentale per la nostra enologia ma ormai superata, come se grazie a vini così siamo stati capaci di superare dei nostri confini.
Cosa ha questo vino che non mi convince? ha che secondo me siamo andati oltre e ero farvelo capire cito e vi riporto quanto scritto sul sito di Ca del Bosco.
Il Maurizio Zanella si ottiene vinificando separatamente le uve Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc dei migliori vigneti di Ca’ del Bosco. Le uve, raccolte a mano in piccole cassette, vengono prontamente classificate e raffreddate. Ogni grappolo viene selezionato da occhi e mani esperte, prima di essere trasportato sopra il tino di macerazione. Con la diraspatura gli acini cadono nel tino, dall’alto, per gravità. Si evita così l’utilizzo di sistemi tradizionali di pompaggio, che apporterebbero indesiderate note erbacee. Nella vendemmia 2007, la fermentazione alcolica e la macerazione sono state condotte per 22 giorni, gestendo accuratamente la temperatura e le follature. I rimontaggi sono stati effettuati giornalmente, utilizzando una coppia di serbatoi elevatori nei quali il vino, spillato dal fondo del tino, viene trasferito per gravità. Il vino, portato in quota dai serbatoi volanti, viene riversato nel tino, ad alta portata, per sommergere il “cappello”. Nulla di più naturale ed efficace per estrarre delicatamente il colore e i tannini. Alla svinatura i vini, ancora caldi, vengono travasati in piccole botti di rovere, nuove per il 60%, ottenute da legni selezionati, stagionati per almeno 3 anni. Solo dopo la fermentazione malolattica, in pieno inverno, si procede al travaso e all’assemblaggio dei diversi lotti. Nasce così il Maurizio Zanella, che prosegue il suo affinamento in legno per circa 12 mesi. In seguito, le diverse partite vengono assemblate e il vino viene imbottigliato per gravità, in modo naturale. Grazie ad innovativi sistemi di riempimento, il vino non subisce shock ossidativi, sbattimenti e ulteriori aggiunte di solfiti. La sua integrità e la sua salubrità sono garantite. Infine, ogni bottiglia confezionata viene marcata in modo univoco, per garantirne la tracciabilità.
Non vi nascondo che la curiosità (visto anche il prezzo) era tantissima, ma quello che ho trovato nel bicchiere è un bellissimo vino in abito da sera con il quale io purtroppo non so conversare: Haimè non tutte le storie sono fatte per diventare grandi amori, semplicemente non abbiamo finito la bottiglia, quale che sia il motivo è con grande rammarico che vi annuncio che questo non è il mio vino. Non mi piace scriverlo, non voglio essere assolutamente offensivo, ma non potevo dire altrimenti.
La mia esperienza con questo vino è così riassumibile: Uno di quegli appuntamenti dove speri una notte di sesso e fiamme innaffiato da fiumi di champagne e invece va tutto così male che sei fortunato se finisci con una bottiglia di Uliveto dinanzi al pc a vedere siti con donnine con pochi vestiti.
Non è colpa dei vini: è colpa mia!
Oggi è carnevale: martedì grasso! Qui si fa la lasagna che a Napoli è davvero un arma da guerriglia urbana! qui da noi non si lanciano mattoni per protestare! qui da noi volano teglie di lasagne! La lasagna di carnevale è una cosa così calorica e densa che una nana nera al confronto è un insalata di finochi. Una porzione di lasagna di carnevale contiene le stesse calorie dell’intero banchetto nuziale del più opulento Marajah della storia, la lasagna napoletana di carnevale è il Chtulhu della gastronomia italiana. In quest’occasione il vino lo scelgo io e mi è tornato in mente quel vino acquistato all’inizio di questo racconto.
Ampelaia nasce nel 2002, è l’azienda toscana fondata da una delle grandi donne del vino italiano: Elisabetta Foradori. La Foradori, la regina del Teroldego, è una figura abbastanza complessa all’interno della nostra storia enologica; donna, madre, sciamana e imprenditrice nasce con la sua azienda sulle Dolomiti. I suoi vini sono leggendari anche e facilmente acquistabili e bevibili, la produzione stimata in 150 mila bottiglie: questo sulle Dolomiti.
Ampeleia nasce nel 2002, l’anno in cui Marco Tait, allora giovane e incosciente, risponde alla chiamata di Elisabetta Foradori e Giovanni Podini, gli attuali proprietari, per curare la prima vendemmia, senza sapere bene a cosa sarebbe andato incontro. Elisabetta conosceva da tempo Marco, il quale fresco della scuola di enologia e viticoltura, viene rapito dal canto delle sirene Maremmane.
in Toscana, arrivano nel 2002, oggi Ampelaia è con le sue trecentomila bottiglie i e 120 ettari di terra, di cui 35 a vigneto una azienda di tutto rispetto. Nonostante le dimensioni ha puntato sulla biodinamica e sulla naturalità delle lavorazioni in cantina potendo così diventare una azienda che coniuga numeri a sogni, a riprova che si può fare vino naturale anche con grandi numeri.
Il Carignano nasce da una piccola vigna “Campo Al Finocchio” ed è un vitigno sopratutto diffuso in Sardegna, la storica influenza Sarda sulle coste Toscane ha permesso la migrazione di questo vitigno a bacca rossa e quindi l’interpretazione della nostra cantina. Quando ho stappato la bottiglia subito c’e stato un feeling pazzesco.
Ampelaia Carignano 2017 igt Toscana rosso.
Colore rubino scintillante è incastonato nel bicchiere, nonostante non sia filtrato ne chiarificato il vino è molto limpido e luminoso avendo solo un pochino di posa sul fondo.
Naso: dinamico, balsamico vinoso e fresco è complesso senza essere pesante. Frutti rossi scuri si appoggiano su sentori di macchia mediterranea e note di erbe officinali, timo, finocchio e una leggera nota di cuoio vengono sostenuti da una importante acidità.
Sorso: croccante e fresco ha una acidità pulente che da vita a bevibilità spaesate al punto che azzarderei perfino di berlo fresco con del pesce grasso.
Vino interamente vinificato in cemento, nonostante il pranzo dalla gastronomici importante si è comportando come Cassius Clay : “Float like a butterfly, sting like a bee” lasciandoci stupiti di quanto facilmente questo fosse compagno e non protagonista; questa singola bottiglia mi ha fatto volta di conoscere gli altri vini aziendali e confermato alcune certezze che avevo.
Nota a margine: nonostante sia un vino naturale e coltivato in biodiamica è anche un vino dalla strepitosa pulizia e precisione di profumi; quindi messo a paragone col vino precedente non è ne una questione economica (ma questo ne costa meno che la metà) ne ideologica (puzze puzzette etcc)ma solo squisitamente personale.
Questo vino tu stupisce perché non te l’aspetti, perché sa avere grandi complessità caratteriali uniti ad una facilità di beva simile a alcuni Borgogna; se dovessi fare un esempio è come uscire per andare a Cinema con una persona conosciuta da poco e finire la serata vivendo una avventura.
Non è colpa dei vini: è colpa mia!
Consapevole di essere una pessima persona, come degustatore cerco di non bere guidato da un ideologia ma solo dal mio gusto; purtroppo il mio gusto non più ama i vini seduti e pesanti; in questi anni sono cambiato, mi sono affinato forse ma sempre meno amo i vini che vogliono fare i maschi alpha, alla potenza cerco l’eleganza, alla pornografia la seduzione. Ciclicamente incontro vini che per qualche motivo hanno segnato un traguardo sulla loro strada, ma questo non mi impressiona più di tanto, ciò che invece mi influenza e impressiona sempre è la mia personale esperienza nel bicchiere, scevro da ogni sovrastruttura, ami i vini che mi raccontano una storia e non mi obbligano all’inchino o al voi.
Questo per dirvi cosa’? che un buon vino per essere tale non è obbligatorio che sia biodinamico o naturale tanto per, io gli esperimenti li faccio sempre e a prescindere e nel caso di Ampelaia questi sono elementi riconoscibili e virtuosi che sostengono un gran vino e non il contrario. Qui non c’è dietrologia o politica, c’è solo vino, tuttavia poteva anche essere uno dei tanti vini che cerca di seguire una moda e dopotutto l’enoteca dove l’ho comprata mi diceva di non amare i vini che invece a me piacciono. Ampellaia invece è riuscita a squarciare lo sterno del mio petto e a strapparmi fuori le viscere e il cuore: Chapeau .
Bravo mi è piaciuto come racconti l’esperienza di assaggiatore che ti dà quasi la sensazione di essere immerso in un contesto di profumi e piacevoli emozioni.continua così questo modo di raccontare fuori dagli schemi soliti incuriosisce e al tempo stesso affascina.
Grazie mille !